UX & the Brain: teorie e pratiche di design nell’era del ‘Social Dilemma’
Neuromarketing, eye-tracking, intelligenza artificiale: sono molti gli strumenti nella cassetta degli attrezzi di chi progetta la User Experience per anticipare in modo sempre più raffinato e predittivo il comportamento dell’utente. Come dominare correttamente queste pratiche?
È possibile progettare interfacce persuasive in una dimensione etica e di lungo termine, senza che questo si traduca nell’adescare semplicemente il consumatore?
L’articolo è un estratto dell’evento “UX Talk: UX & The Brain”, tenutosi online il 30 ottobre 2020 per la classe del Corso di Alta Formazione in User Experience Design e le persone esterne iscritte all’evento.
In che modo la conoscenza dei processi neurologici, cognitivi, involontari, contribuisce alla progettazione di artefatti digitali, prodotti e ambienti?
Ce ne hanno parlato nell’evento online del 30 ottobre 2020:
Giovanni Pola, CEO @ Great Pixel
Maurizio Mauri, Head of UX & Neuro-Marketing Research @ SR LABS
Moderatori:
Venanzio Arquilla, Co-direttore Master in User Experience Psychology
Andrea Gaggioli, Co-direttore Master in User Experience Psychology
Mindfulness e User Experience
Guarda il video integrale dell’intervento di Giovanni Pola
Che i social network siano arrivati ad occupare prepotentemente la sfera attenzionale di ognuno di noi, per quanto ci sembri un fatto nuovo, è in realtà un fenomeno ampiamente preannunciato. Già in un articolo del 1993 di A. F. Firat e A. Venkatech, si trovano infatti tre di quelle che è possibile considerare come parole caratterizzanti dell’epoca in cui viviamo:
- Iper-realtà — Condizione caratterizzata dall’incapacità di distinguere tra realtà e finzione, a causa della forte mescolanza tra i due livelli.
- Decentralizzazione — Come riporta R. Davidson nel suo libro “The emotional life of your brain”, il 47% del tempo non prestiamo attenzione a ciò che stiamo facendo.
- Frammentazione — L’attenzione durante la nostra giornata è frammentata, suddivisa, al punto che, come sostiene D. Goleman, “Distraction is the new normal”
Gli errori che da designer capita di commettere nel progetto di user experience sono spesso dovuti alla tentazione di ridurre la user journey a un comodo processo lineare, postulando una continuità di device di utilizzo, setting, situazioni e soprattutto emozioni che però non descrive credibilmente la realtà quotidiana.
In quello che appare invece come uno scenario estremamente frammentato, in cui l’attenzione degli utenti risulta parcellizzata, la chiave d’accesso a un approccio realmente user-centered risiede nel monitoraggio delle esperienze con lo scopo di ottenere informazioni e insight, indispensabili per la comprensione di ciò che le persone vedono, provano, sanno e vogliono.
Questa consapevolezza è difficile da raggiungere per le persone stesse: ciò che esse sanno (o sanno di sapere), è infatti spesso una conseguenza di ciò che provano: le emozioni sono un fattore determinante in ogni processo decisionale e questo impatta necessariamente e prepotentemente sul progetto dell’esperienza.
L’apparente contraddizione tra pensiero e azione trova una prima giustificazione nel modello che descrive il cervello umano come un organo “tripartito”, costituito cioè da tre parti distinte per epoca di evoluzione e per sofisticatezza:
- cervello rettile — La parte più antica del cervello, sede degli istinti primari e legata all’inconscio, ha la caratteristica di avere reazioni incondizionate, cioè risposte involontarie;
- cervello mammifero, sede delle emozioni — È associato al preconscio, cioè a quei contenuti psichici non immediatamente presenti alla consapevolezza ma che possono essere richiamati alla coscienza;
- neocorteccia — Sede del linguaggio, della mente e del pensiero, racchiude tutte le informazioni cognitive e razionali; in questa sede le decisioni per la sopravvivenza vengono prese razionalmente.
Questo modello, per quanto semplice e approssimativo, ci permette di iniziare a comprendere alcuni meccanismi dei processi cerebrali e delle loro conseguenze: concetti che sono alla base del pattern “Nektar” messo a punto da Great Pixel per la progettazione di layout di pagine web in grado di massimizzare il conversion rate.
Eye Tracking: cosa, come e quando.
Guarda il video integrale dell’intervento di Maurizio Mauri
Maurizio Mauri, psicologo a capo del dipartimento di UX design e research in SR Labs, ci ha raccontato metodi e applicazioni della tecnologia del tracciamento dei movimenti oculari, potente fonte di insight oggettivi, osservabili e ripetibili: una indiscutibile scientificità, messa al servizio del progetto di esperienze.
Eye-tracking in laboratorio
Il test di usabilità in laboratorio è uno dei casi un cui vengono impiegate tecnologie di eye-tracking. Attraverso la combinazione del monitoraggio dei movimenti oculari e di think-aloud durante la navigazione, il test di usabilità permette di:
- comprendere la facilità percepita dall’utente nell’utilizzo di un’interfaccia;
- individuare con precisione gli errori di usabilità;
- valutare l’efficacia di layout e template.
Questo tipo di test può avvenire in modalità “moderata”, con un intervistatore, che aggiunge al dato oggettivo un aspetto qualitativo; o “non moderata”, per indagini di tipo quantitativo.
La flessibilità dell’eye-tracking si presta quindi in diverse modalità e per diversi scopi:
1) combinandola con la comunicazione verbale in caso di
- Free navigation test, per individuare l’approccio esplorativo degli user durante la navigazione
- Task completion test, per misurare le performance degli utenti nel completare determinati compiti su un’interfaccia, quantificandone l’efficacia.
2) applicandovi scale di soddisfazione come:
- Questionario SUS, per valutare la percezione di usabilità dell’interfaccia e il grado di soddisfazione nell’utilizzo
- Net Promoter score, per misurare il giudizio degli utenti attraverso quanto raccomanderebbero l’esperienza ad altre persone.
Tra gli output delle attività di eye-tracking vi sono le mappe di calore (heatmap) che rappresentano il dato di concentrazione dell’attenzione dell’utente sull’interfaccia attraverso l’utilizzo di una scala di colori, che tipicamente va dal blu, per le aree meno guardate, al rosso, per quelle ad alta attenzione visiva.
Eye-tracking online
Agli apparati tecnologici da laboratorio si affiancano oggi piattaforme web-based: nello specifico SR Labs ha rilasciato un algoritmo in grado di sfruttare le webcam integrate nei device dei tester per effettuare lo stesso tipo di monitoraggio in modalità online e comodamente da remoto.
Questo tipo di approccio trova un particolare caso d’uso nel Test di associazione implicita (IAT), che permette di rilevare la forza dell’associazione subconscia di una persona tra rappresentazioni mentali di oggetti, attraverso la misurazione dei tempi di reazione del tester.
Questo aiuta a capire cosa evoca nei consumatori l’immagine di un brand, permette di confrontare il brand con i competitor, oppure due versioni dello stesso brand, e di scoprire come una esperienza diretta con il brand influisce sugli atteggiamenti dei consumatori verso il brand stesso.
Un’ulteriore tecnica che può essere usata comodamente online riguarda l’analisi automatica delle espressioni emotive del volto: grazie al grande lavoro dello psicologo americano Paul Ekman sull’universalità delle espressioni emotive del volto umano, oggi abbiamo software in grado di misurare quando e quante volte sul viso del tester compaiono le seguenti emozioni in un dato arco temporale: gioia, tristezza, paura, sorpresa, disgusto, rabbia o espressione neutra (ovvero nessuna emozione). Recentemente l’elenco poi si è allargato anche a espressioni come confusione, perplessità, interesse e frustrazione: meno rilevanti in termini emotivi, ma più adatte per la valutazione della UX di app e siti web.
Eye-tracking nel mondo reale
È inoltre possibile misurare la customer experience in real life, all’interno di ambienti reali o simulati, particolarmente utile non solo in termini di usabilità, come nel caso di way-finding in luoghi pubblici, ma anche con un approccio orientato al marketing.
In questo caso, le misurazioni sono di varia natura e vengono effettuate con diversi apparati tecnologici:
- eye-tracking mediante l’uso di speciali occhialini;
- tracciamento delle onde cerebrali attraverso l’elettroencefalografo;
- misurazione dei dati biometrici, come la conduttanza della pelle, attraverso l’impiego di braccialetti ad hoc.
I dati rilevati restituiscono così una ricca fotografia dell’esperienza utente, che permette di mettere in relazione esperienza visiva ed esperienza emotiva, processi esplorativi e come l’utente interagisce durante tutto il percorso d’acquisto.
Tutto ciò si rivela molto utile nella valutazione di percorsi di visita, di efficacia e accessibilità della segnaletica e degli espositori all’interno di luoghi pubblici o attività commerciali, l’engagement del cliente e le azioni per lui più significative e/o problematiche.
Conclusioni
Vita digitale e reale non sono più momenti distinti della vita quotidiana: da persona a utente a cliente il passo è minimo e a volte involontario poiché l’individuo può ritrovarsi nel mirino della comunicazione in qualsiasi momento.
Per risultare rilevanti in questo scenario, i brand devono convertire il loro approccio di design verso una direzione data-driven (o al più data-informed), attraverso attività di ricerca, validazione e monitoraggio per costruire esperienze sempre in linea con le mutevoli aspettative degli utenti, impiegando inoltre processi iterativi di revisione e miglioramento progressivi, che aiutino a mantenere nel tempo la rilevanza acquisita.
Per formare le professionalità che sapranno dominare processi neurologico-cognitivi nel dominio del design è nato il Master in User Experience Psychology, un percorso formativo innovativo che vede unire le forze Università Cattolica del Sacro Cuore e del Politecnico di Milano, POLI.design, in partenza a gennaio 2021.
Per informazioni e candidature:
UxP Master — Cattolica
UxP Master — POLI.design